TavolaRotolante

BISCOTTI

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Beastion e le amichette


- come fu che il nostro inventore imparò a rispettare le bambole

Un tempo, il castello non aveva mura affumicate, la servitù teneva in ordine torri e camere, il cortile era un giardino rigoglioso.
A quel tempo, la stanza centrale del mastio era un salone con camino e due poltrone. In un angolo, poi, un tavolino e uno sgabello erano il regno del piccolo Beasty. Lì seduto, costruiva i suoi giocattoli di legno e fil di ferro.
Quel pomeriggio, come accadeva spesso a quel tempo, papà Alphonse era in piedi davanti alla vetrata. Guardava sua moglie coltivare il suo angolo di giardino, quello in cui i giardinieri non potevano entrare. Ci otteneva steli secchi, spine nelle dita, forse tre rose nere. Ma anche gli unici tre sorrisi dell’anno.
Beasty alzò gli occhiali di fondi di bottiglia legati con lo spago verso papà. Ghignò e prese un paio di oggetti dal tavolino. Poi in punta di piedi raggiunse la porta e scivolò giù per le scale.
Scese fino al piano terra, poi giù nei sotterranei. Buio e umido, fino alle cucine, e lo stanzone dei cuochi ribollente di bagliori rossi su casseruole d’ottone. Uomini col cappellone e garzoni indaffarati.
Beasty girovagò, rasente ai muri, dietro gli angoli. Trovò tre bambine. La figlia del cantiniere, Melinthya, lentiggini e grembiulino azzurro. Una paffuta e riccia figlia di una cuoca. Yelenha la nipote della governante, con una bambola di pezza dal sorriso smagliante.
Beasty si avvicinò con le mani dietro la schiena: “Ciao.”
Lo videro solo allora, un profilo nella penombra. Melinthya saltò con la mano sul cuore: “Ehi! Che spavento.”
Lui si avvicinò col ghigno ancora stampato: “Cosa fate?”
Le altre due lo guardarono storto. La prima indicò a terra, dove avevano steso un fazzoletto su cui erano poggiate tazzine, cucchiaini, una teiera e altri gingilli: “Stiamo prendendo il the.”
Yelenha prese la sua tazzina e finse di sorseggiare, guardandolo di taglio.
Beasty si sporse verso le cose a terra, ma Melinthya allungò la mano davanti alla sua fronte quadrata: “Che fai? Siamo già in quattro, non c’è posto per te.”
Si ritrasse, il ghigno divenne duro: “Siete in tre.”
Yelenha accennò alla bambola coi ricci e il vestito rosso: “C’è anche Lynette.” poi distolse lo sguardo.
Anche le altre tornarono a guardare per terra. Beasty strinse il pugno. Passò lo sguardo da una all’altra: “Potrei dire a mio padre che non mi fate giocare. Chissà cosa direbbe alle vostre mamme.”
Melinthya si bloccò, allargando gli occhi. Sussurrò: “Ma, mamma ha bisogno del lavoro.” Il volto ridente della terza ragazzina mutò in preoccupato.
Beasty fece un passo tra di loro: “Comunque a questo gioco cretino non voglio giocare. Ho io un gioco molto più divertente.”
Melinthya, incerta, lo guardò appena: “Davvero?”
“Davvero. Lo volete vedere?”
Sempre la voce titubante: “Vedere? Va bene, sì. Che gioco è?”
Tirò fuori da dietro la schiena due costrutti di legnetti e fil di ferro. Fasci di stecche ingabbiate in giri di metallo, più altri legati dal filo ritorto a sporgere, facevano da appendici. Uno eretto, con un nucleo a mo’ di testa, due gambe e due braccia. L’altro steso, quattro legni da zampe e un globo intricato davanti con due protuberanze curve come corna.
Le bambine arricciarono le labbra, Yelenha si ritrasse prendendo in braccio la bambola: “Che brutti.”
Beasty strinse il pugno: “Non sono brutti! Sono un toro e la sua vittima.”
Melinthya sforzò un sorriso: “Sono strani.”
Poggiò il pupazzo a quattro zampe al bordo del fazzoletto. L’altro lo tenne in mano, al centro, e acuì il tono di voce: “Oh che bello passeggiare per la strada!” mosse la figurina da una gamba all’altra. Con l’altra mano fece vibrare quella del toro, abbassando il tono di voce: “Mwroaaar!”
Mosse più in fretta l’omino: “Chi è? Oddio, un toro!”
Spostò più vicino l’animale: “Groar! Vieni bambina, lasciati raggiungere.”
Fece camminare l’altra, molto piano: “Aiuto, cosa vuoi da me?”
Il toro si avvicinò inesorabile: “Grawl! Non scappare, voglio solo vedere di che colore è il tuo sangue.”
“Ah! Aiuto, vattene!”
“Non puoi fuggire! Ti aprirò le viscere con le mie corna e spargerò le tue budella. Sarà divertente vedrai!”
Fermò la figurina: “No, ti prego, sono solo una bambina, non hai pietà?”
Mosse il toro a un centimetro: “Pietà? Spero che l’abbiano dove andrai adesso, anche se è più facile tu finisca all’inferno, per come ti ridurrò!”
Le bambine avevano bocche e occhi sgranati, immobili tanto erano paralizzate da quello spettacolo.
Beasty colpì il pupazzino della bimba con la testa puntuta dell’altro, gridando a squarciagola: “Sbluah! Blaaah! Uhahaa!” Colpì e colpì ancora, la vittima perse pezzi di legno e metallo, da un braccio, una gamba. Poi la testa si staccò e rotolò.
Beasty guardò il disgusto delle bambine, poi premette sul toro. Il fil di ferro sulla testa si illuminò di azzurro, un istante e una scintilla si scaricò tra due punte, attraversando il corpo dell’altro pupazzo. Uno scoppio, pim, e il giocattolo bambina volò in aria, lanciò qualche pezzo intorno e ricadde fumante.
“Ah!” gridò impaurita la bimba riccia.
Beasty continuò, colpì il corpo a terra, pim, che esplose ancora in aria, e ancora, pim.
“Aiuto!” Gridò Melinthya, e si alzò. L’altra bambina riccia fece altrettanto e scappò via. Lei guardò Yelenha, stretta alla sua bambola, con gli occhi strizzati.
Beasty allungò il toro verso di loro. Lo fece scattare in avanti mentre accendeva il lampo a vuoto: clac!
Melinthya saltò indietro: “Aaah!” e fuggì.
Yelenha stringeva la bambola, strizzandocisi dietro.
Beasty fece altri due clac, clac, poi il ghigno soddisfatto sul volto sfumò in un broncio: “Ti piace allora il mio gioco?”
La bambina mormorò tremante: “N-no. Fa paura.”
“E non scappi?”
“No, la mia Lynette, mi fa coraggio.”
Beasty abbassò il pupazzino: “Ah.” Poi si alzò: “Invece a me ha divertito.” Guardò la bambola, poi: “La vittima, la puoi prendere. Quel che ne resta.” E se ne andò.