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Springlynn & dads baubles

- estratto prima stesura

Introduzione


Cap. I

La strada sterrata finiva davanti al portone del muro di cinta. Dal metallo nero, la testa in bassorilievo spalancava le fauci per inghiottire. I passetti sulla terra battuta si fecero sempre più piccoli man mano che arrivavano davanti alla bocca. Le gambe secche si irrigidirono, il corpo magro impettito, le braccia si incrociarono tenendo il bastone nel pugno. La bocca sottile incurvata in giù pensò: Che mancanza di stile. Mette i brividi.
La mano tolse la bombetta che scoprì il perfetto caschetto castano. Gli occhi azzurri cercarono il battacchio, che non c?era: Bella ospitalità. Tutto da rifare. Da rifare!
Allungò la mano al ferro, quando un sibilo di vapore sbuffò dall'ugola enorme, che si allungò su di lui come un boa sulla preda, aprì un oblò con una lente e gracchiò: "Chi è là!"
Portò la bombetta davanti al petto, si ritrasse un poco dall'occhio indagatore che gli girava attorno.
Sarà pericoloso questo coso? Stirò la faccia pallida nel sorriso più tirato che poté: "Ebbene, signore, se di signore si tratta, io sarei Villivonca..."
La voce ruggì più forte: "E cosa volete!"
"Se non mi aveste interrotto, stavo dicendo che sto cercando un certo Franchistano, il padrone di questo maniero. Vorrei conferire con lui."
L'ugola citofono si spostò a inquadrarlo più da lontano, ed emise: "E perché?"
"Affari. Una bambina di latta mi ha detto che siete un grande inventore."
"Humpf! Già, già, ti pareva. Va bene, entrate."
Cigolò fino al suo posto poi un clang e lo scorrere dei cardini a spalacare il ferro nero sul cortile tra le mura.

Cap. II

Un piede dietro l'altro, nel cortile di cemento invaso da erbacce secche e nuvole di vapore e fuliggine. Le mura circondavano lo spiazzo, occupato al centro dal grande mastio, diversi piani, portoni, finestre, la vetrata grande in alto e sopra sbuffi di fumo da camini e condotti. Da una delle torri storte ai lati uscì un fischio. Villivonca osservò: "Interessante." e proseguì.
Arrivò al corpo centrale, che un portone da hangar si scostò. Si bloccò davanti al nero. Poi due fari, nel buio, accesi. Allungò a testa: "Chi c'è?"
"Unappimilla." la voce venne dal nero, flebile.
"Come?"
"Unappimilla!"
Un passo più vicino, gli occhi stretti sul naso: "Uh?"
"UN-APPI-MILLA!"
"Ah!" alzò la testa, sorrise: "Sei quella bambina? Quella robottina?"
Dal nero passi di ferro portarono fuori il vestito di latta rossa, la testa con i boccoli verderame ondeggiò, la manina a pinza si alzò a salutare.

Cap. III

Nel cunicolo di pietre e grappoli di ingranaggi i passi davanti, piccoli e metallici, facevano strada a quelli di Villivonca. Una luce in fondo li spinse su per una scala, e in un salone nero dalle pareti piene di tubi, tranne che dove una grande vetrata mostrava il cortile sotto di loro.
La bimba di latta uscì per prima: "Papi, c'è un ospite!"
Dal tavolo in mezzo si alzò una testa quadrata, pelata, con due baffoni, su un corpo altrettanto massiccio: "Ospiti? Mandali via!" L'uomo in grembiule da lavoro e occhialoni reimmerse le mani tra la montagna di pulegge e lamiere che strabordavano dal tavolo, un piede d'acciaio cadde con un clang.
La bambina piegò la testa di lato: "Ma papi, è quello che..."
"Ti ho detto via!" Una mano operò sotto il tavolo, premette e girò, e la bambina ebbe un sussulto, poi fu percorsa da un tremito e si irrigidì. Girò la testa indietro di centottanta gradi, gli occhi fanale accesi abbaglianti. Poté farfugliare: "Mi-spia-ce." mentre alzava la mano d'acciaio, tra le dita un arco voltaico friggeva energia blu a diecimila volt.
Villivonca aggrottò le sopracciglia, schiena e gambe stecche, con la bombetta stretta al petto: "Interessante. Rozzo, ma interessante. E, doloroso?"
La mano avvicinò la morte crepitante alla sua testa, in cui gli occhi si strizzarono: "Voglio si sappia, che questo non è modo di trattare le persone." Il lampo azzurro si avvicinava inesorabile. "Non è il modo di ottenere, non reca vantaggio a nessuno. Si sappia, se saranno le ultime cose che dirò. Lo saranno? Questa cosa uccide, vero?"
Gli occhi si chiusero, poi lo sfrigolare sussultò: cricricric cricric cri cric. E tacque. Il rumore impercettibile di ingranaggi divenne silenzio.
Villivonca scostò una palpebra. La bambina era immobile, l'elettricità sparita, gli occhi spenti. Villivonca tratteneva il respiro, riprese a muovere i polmoni.
Dietro, l'uomo al banco armeggiava con un pistone e una chiave inglese: "Dannazione." Ignaro.
Il volto contratto si sciolse in un sorriso a denti stretti: "Brava piccola. Non far del male a zio Vil. È molto brutto." guardò ancora al tavolo: "Ehi? Senta: la bambina qui... è morta?"
L'uomo al banco gli lanciò un'occhiata, poi il banco, poi di nuovo: "Eh? Ancora qui? Che ci fa ancora vivo?"
"La bambina."
"Unappimilla? Ancora scaricata." Indicò e fece il gesto di girare qualcosa. Dietro la schiena di latta c'era una grossa chiave come per caricare un carillon.
"Ah! Problemi di energia elastica. Povera piccola." e giunse le mani sotto il mento.
"La smetta e venga qua."
Le labbra si incurvarono in giù: "Come? Manterrei invece la distanza. Dopotutto ha appena cercato di uccidermi."
"Ma no!"
"Ma sì, l'ho appena visto, con i miei occhi."
"Ma sì, la mia piccola sa difendersi, deve, per noi il mondo è pericoloso. Ma adesso no, venga qui."
"Come dice?"
"Venga qui! Ce l'ha una mano? Ecco, tenga fermo questo perno, non vuole saperne di stare a posto, intanto io cerco di avvitarlo."
"Questo è parlare. Allora volentieri."
[...]


- - - - - - -


Parte prima


Cap. 1

Piedini di metallo trottano sui ciottoli tra i palazzi della via. Braccia di perni snodati fanno avanti e indietro, trucioli verderame rimbalzano sulla testa tonda di latta. Fanali per occhi lampeggiano guardando i passanti, le porte delle botteghe, le finestre ai piani alti.
Vetrine con meccanismi a orologeria che ticchettano, un: ”Uh!”
Un portone con l’insegna “Lady Cyrenelle beauty contraptions”, un: “Ah!”
Un giardino, da cui spuntano tubi di ferro nero, un: “Oh!” Svettano fin sopra i tetti e sbuffano vapore, e il terreno vibra sotto l’erba. Edera viva si arrampica su quella di ottone lucido, decoro delle ciminiere.
Gambine rallentano il trotterellare, qualche passo e sono ferme. Testa girata di novanta gradi.
Tra l’erba, calzoni corti corrono dietro a farfalle, gonne sedute su panchine, un organetto su ruote stantuffa pistoni che fischiano una marcetta, dietro battono tacchi di stivali di metallo, a ritmo.
“Springlynn.”
La testa sopra i tacchi si gira di scatto, la mano al petto: “Oddio!”
Accanto ha il vestito di latta rossa, gli occhi fanale la fissano; a dieci centimetri, apparsa lì.
“Springlynn!”
“Bambina, mi ha fatto prendere un colpo. Come dici?”
“Spring-lynn!”
“È il tuo nome?”
“Eh, già.”
“Io mi chiamo Boghavir, piacere. E cosa fai qui, cara?”
“Una passeggiata.”
“Ma,” le sopracciglia cispose guardano di qua e di là: “Sei con qualcuno?”
“Il mio papà, Guljermo, e in città per affari. Mi ha detto che posso fare un giro, sono grande ormai.”
“Beh, presumo di sì, brava.”
Intanto il fischiare cala e si riduce. Un paio di pantaloni corti e bretelle guarda la sua farfalla atterrare. Anche le altre farfalle si posano, seguiti da occhi su nasi mocciosi.
La giacca a code dietro l’organo alza lo sguardo: “Ragazzi, un altro giro?”
Occhi - fanale lo puntano: “Sono tue?”
“Sì. Ballano con la musica.”
“Ohhh! Posso vederle?”
“Ci vuole un soldino bambina.” e guarda due gonne ampie sulla panchina; una fruga nella borsetta.
Testa di latta si abbassa: “Oh, come volevo vederle!”
La borsetta ancora non restituisce monete, la bocca sopra la giacca sorride: “E va bene, un giro omaggio! Corri a vedere, vai.”
Manine di ferro battono tra loro, piedini corrono a una farfalla, su cui è chinato un cappello e delle lentiggini. Adesso le guarda anche un taglio per bocca: “Bella!”
La farfalla ha il corpo di ingranaggi d’ottone, le ali di mosaico di cristalli colorati. Il nasino accanto sui alza, sotto il basco: “Visto? Adesso riparte.”
La musica prende ritmo, la farfalla batte le ali. Lancia stelle di luce intorno. Occhi - fanale lampeggiano: “Oh!”
La farfalla batte più forte, un leggero ronzare, poi sfavilla saltelli, e infine si alza, volteggia, lancia bagliori d’iride.
Anche altre volano; nasini mocciosi all’insù, ridono.
Quello con lei si drizza sulle ginocchia: “Dai, acchiappiamola!”
Truccioli verderame lo seguono saltellando: “Ah ah! Farfallina, dove vai!”
“Ferma!” grida il nuovo amico: “ Visto che bella?”
“Sì, quasi come quelle di papà.”
“Eh?”
Risa si incorciano seguendo le scie cangianti, si scambiano, complici. Poi i fischi ed il vapore dall’ottone affievoliscono, si quietano come gli sfarfallii. Le macchinette atterrano, sopite.
Gli occhi corrono al sorriso dietro l’organo, che inchina la testa, poi accenna alle mamme.
Latta e sederino si appoggiano sull’erba, accanto. Un sorriso di lentiggini verso uno tagliato nel metallo: “Uff, che fatica!”
“Io non mi stanco, solo… delle… volte…” Le membra di metallo bloccate, il bagliore lieve negli occhi diventa buio.
Occhi umani si aggrottano: “Ehi, che fai? Cosa succede?” Tocca la spalla: “Stai bene?”
Ritrae la mano: un braccio infilato in una giacca amaranto si china sul corpicino inerte, gira qualcosa dietro, cric cric cric.
“Ciao ragazzo.” Il volto chinato è pallido, incorniciato da capelli a caschetto: “Non temere, Springlynn ha solo esaurito la carica.”
Infatti, riprendono colore gli occhi, ricompare la vita: “Oh, papà! Grazie.”
Il completo amaranto si rizza: “Guljermo, mio caro ragazzo.” e volteggia la bombetta in tinta: “Conoscerai il mio nome.
” Il naso all’insù muove la bocca spalancata: “No, veramente no.”
Il fisico già dinoccolato si affloscia di più: “Come, non conosci la Springlynn & dads baubles?”
“No, non…”
“La fabbrica sulla collina?” e indica il castello nero avvolto di bruma e fuliggine.
Quello guarda: “Oh!”
Salta su la testa di ferro: “Il mio papà costruisce giocattoli. E qui per venderli ai negozi.”
In quel momento, una mano piazza monete in un’altra, stantuffi spingono aria nelle canne e fischi ricominciano. Le ali prendono a battere e a lanciare riflessi cangianti.
“Dai, ricomincia!” dice il sorriso, che salta su e pizza il basco in testa.
Anche il vestito di latta rossa si drizza: “Sai, il mio papà…”
Ma le ali si librano e il basco gli corre dietro.
Gli occhi fanale si illuminano un momento, poi nella bocca stridono ingranaggi. Guarda il padre alto: sorride, poggiato al bastone: “Affascinanti queste farfalle, leggiadre direi. Hanno un certo stile.”
“Non mi ha ascoltato.”
“Come?”
La voce gracchia: “Non mi ha ascoltato.” Guarda dietro, occhi e sorriso verso gli svolazzi.
“Ma ti piacciono davvero?”
“Converrai come siano leggiadre, poetiche anche.”
“Papà, è la concorrenza! Non hai niente di meglio qui?”
“Beh, no, perché? Cosa frulla nelle tue rotelline?”
“Volevo qualcosa di così bello. Anzi di più bello!”
“Calma calma calma. Senti, lasciamo questi bambini nella loro tranquillità, vuoi?”
“Ma noi possiamo farne di meglio, vero?”
“Beastion? Penso di sì.”
“Già.” Gli occhi lampeggiano verso l’organista.
[...]